Foto d'archivio di un self service. REUTERS/Finbarr O'Reilly (UNITED STATES - Tags: HEALTH FOOD)
ROMA (Reuters) - Se il 27% degli italiani che comprano abitualmente prodotti equi e solidali, oppure frutta e verdura bio, poi vanno anche al fast food, qualcuno potrebbe dire che forse regna una certa confusione dei consumi, ma per un rapporto diffuso oggi da Censis e Coldiretti si tratta invece di “politeismo alimentare”.
L’Italia resta il paese della pasta e soprattutto del pane, visto che oltre 24 milioni dicono di mangiarlo sempre a pranzo e altri 21 milioni e mezzo sempre a cena. E i consumi di verdura e frutta restano altissimi, anche se quasi il 26% delle persone intervistate per il rapporto spiega che mangerebbe più frutti se costassero meno.
Ma anche se crescono i consumi di alimenti biologici (non trattati con pesticidi o conservanti), con il 28,6% delle famiglie che ne fa regolare acquisto, e parimenti crescono gli acquisti diretti nei cosiddetti “mercati del contadino” e anche quelli di prodotti equi e solidali, nei fatti i consumi degli italiani sembrano dominati dall’assenza di “tabù”, spiega il Censis.
“A prevalere è un politeismo fatto di combinazioni soggettive di luoghi di acquisto dei prodotti e relative diete alimentari - dice il Primo rapporto sulle abitudini alimentari degli italiani - e la crisi recente non ha fatto che rinforzare questa dinamica dei comportamenti sociali”.
“Non esiste il Mcmondo - dice ancora il Censis - che come un Grande Fratello indirizza i carrelli della spesa, esistono consumatori che, con una miscela originale di motivazioni e obiettivi, definiscono una propria specifica combinazione di alimenti e luoghi d’acquisto, tanto da poter dire che il modello alimentare prevalente è in realtà un patchwork...”.
Per esempio, tra coloro che comprano regolarmente prodotti bio, il 73% acquista anche surgelati, e il 26,7% ha l’abitudine di andare al fast food, come nel caso del 27,1% di coloro che acquistano prodotti del commercio equo e solidale (che nasce proprio dalla critica del modello fast food e della cosiddetta ‘globalizzazione’).
Insomma, conclude il rapporto “non c’è ortodossia alimentare che riesca a bloccare la caccia soggettiva alla combinazione di beni più adatta alle proprie esigenze”.
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